giovedì 13 dicembre 2007

Cosa c'è sotto i Poli (quelli veri, eh)?

I ghiacci della calotta artica, come ormai tutti sappiamo, si stanno sciogliendo sempre più rapidamente, ma c'è chi è molto contento di questo fatto. Chi? Beh, semplice, i cinque paesi che si affacciano sul Mar Glaciale Artico, che sono: Usa, Russia, Norvegia, Danimarca e Canada.
Ora l'accesso alle risorse che giacciono sotto i ghiacci è molto più agevole, ed inoltre sembra che ci sia veramente molto di più di quello che si stimava.
Un primo segnale di questa moderna "corsa all'oro" è stato dato ai primi di agosto, quando due minisottomarini russi hanno deposto sul fondale del Polo Nord, a 4.200 metri di profondità, una bandiera russa, come simbolica rivendicazione delle acque che separano il Mare Artico sino al Polo, molto oltre il convenzionale limite di 200 miglia entro cui si estende la ZIEE (Zona di Interesse Economico Esclusivo), rivendicando un'ipotetica continuità lungo la cosiddetta "dorsale di Lomonosov" che parte dall'arcipelago della Severnaja Zemlya.
E così fa la Danimarca (senza piantare bandiere però), che ritiene che la suddetta dorsale nasca o muoia nei pressi della Groenlandia.
Gli altri paesi interessati respingono le pretese della Russia a questo proposito, ma è interessante notare come in realtà ci siano altre dispute su territori addirittura tra alleati della Nato (vedi schema in fondo al post).
Al di là del controllo di nuove rotte navali, quello che veramente fa gola un po' a tutti sono le ricchezze minerarie racchiuse dalla regione artica (stimate intorno ai 2.000 miliardi di dollari).
Beh, cosa c'è là sotto di così ghiotto?
Innanzitutto idrocarburi, stimati fino a 100 miliardi di barili di petrolio.
Tra l'altro molte di queste risorse sono dislocate proprio lungo le coste russe. E la Russia già dalla terraferma delle sue regioni artiche trae il 91% delle sue risorse di gas e l'80% di quelle di petrolio.
Ci sono poi i nitrati di gas, combinazioni di acqua e metano gelati di cui sono ricchi i fondali marini, specialmente quelli artici ed il permafrost costiero.
Ci sarebbero anche grandi quantità di noduli di stagno, manganese, nickel, oltre a platino e diamanti. Senza dimenticare le crescenti risorse ittiche, che stanno crescendo a causa del riscaldamento progressivo di quelle acque ed alla loro sinora intoccata purezza.
Il quesito da risolvere però é: a chi appartengono queste risorse?
O meglio, di chi sono le acque sotto i cui fondali sono sepolte?
E' interessante notare che la costituzione della piattaforma artica, in sostanza definita come "terra composta di ghiacci", l'ha sempre resa indefinibile a livello giuridico, non era terra e non era mare. Ma mare progressivamente sta diventando, e a questo punto il solo regime giuridico applicabile è quello della "legge del mare", che prende il nome dalla Convenzione di Montego Bay del 12/1982, ratificata da 55 paesi (ma non dagli Usa) in base alla quale il limite massimo esercitabile dagli Stati è quello delle 200 miglie nautiche di cui sopra (371 km).
In base a questa convenzione le pretese russe e quelle danesi sarebbero da rigettare.
Sarebbe bello riuscire a dichiarare queste risorse come patrimonio dell'umanità e creare un pool di Stati misti per utilizzarle e distribuirle, ma come le cose belle e giuste, è naturalmente impossibile.
Diversa è la situazione in Antartide, grazie al Trattato sull'Antartide firmato a Washington il 1mo dicembre 1959, che bandisce "tutti i provvedimenti di carattere militare, come l'insediamento di basi, la costruzione di fortificazioni, manovre od esperimenti di armi di qualunque genere, affinché l'Antartide sia riservata per sempre solo ad attività pacifiche e non divenga né il teatro né il motivo di vertenze internazionali".
Trattato completato nel 1991 con il Protocollo di Madrid che vieta per 50 anni ogni ricerca o estrazione mineraria e richiede una "valutazione di impatto ambientale" per ogni attività qui condotta.
Alcuni paesi però rivendicano diritti storici di sovranità su alcune zone del continente, cosa peraltro legittimata dall articolo 4 del Trattato, che salvaguarda "i diritti di sovranità territoriale oppure le rivendicazioni di sovranità...in precedenza fatte valere" dai firmatari, come base giuridica per accampare prerogative che consentano in ogni momento di avviare attività economiche sul continente denunciando il Trattato.
Però, è curioso reclamare il controllo territoriale di zone che non si possono sfruttare economicamente!
Beh, anche in Antartide vi sono ingenti quantità di petrolio (tra 25 e 50 miliardi di barili), gas, carbone, cromo, nickel, zinco, manganese, stagno, molibdeno, piombo, cobalto, titanio, oro, argento, platino, uranio, noduli metallici. Vi è poi anche il potenziale ittico e come dimenticare il ghiaccio (l'acqua), che è il 90% del totale del pianeta e il 60% dell'acqua dolce disponibile sulla terra?

I Conteziosi aperti
Tra Usa e Canada: transito nel mitico "passaggio di Nord-Ovest" che Washington ritiene libero mentre Ottawa giudica soggetto a permesso
Tra Danimarca e Canada: il minuscolo isolotto di Hans, di appena 1,3kmq di superficie, messo in luce dallo scioglimento dei ghiacci del Mare di Lincoln, ma cruciale per attribuire la sovranità sulle acque del Polo (vi ricordate le famose 200miglia marine?)
Tra Russia e Norvegia: delimitazione di una porzione del Mare di Barents, tra l'arcipelago delle Svalbard (norvegese) e la Terra di Francesco Giuseppe (russa), zona ricca d'idrocarburi
Tra Russia e Usa: la Duma russa, malgrado la firma, non ha ratificato un trattato del 1990 con gli Usa per delimitare le acque del Mare di Bering, perché ritiene che le siano stati sottratti 50kmq ricchi di pesce e di idrocarburi
La Russia ha allargato le sue pretese territoriali nel Mar Glaciale Artico per controllare l'eventuale apertura alla navigazione del "passaggio a Nord-Est" che ridurrà fortemente la durata della navigazione tra Estremo Oriente ed Europa.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Post molto interessante, è un argomento che mi affascina e che sto approfondendo. Se non sbaglio, un modo per risolvere i vari contenziosi è dato dalla "Convenzione sul diritto del mare", che permette a uno stato l'ampliamento dei diritti di sfruttamento oltre le 200 miglia nautiche se questo riesce a dimostrare che la zona interessata costituisce il prolungamento naturale della sua piattaforma continentale. I vari stati coinvolti stanno ora cercando le prove per conto proprio e il tutto verrà analizzato davanti alle Nazioni Unite nel 2013. Sinceramente mi spaventa un po' che tutto possa finire in mani russe... Inoltre, anche se queste nuove risorse possono allungare la vita dei carburanti tradizionali, temo che le code ai distributori che abbiamo visto questi giorni siano un'anticipazione degli scenari futuri, magari nemmeno troppo lontani (facciamo 15, 20 anni?).